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Luca Zavatti: #tuttositrasforma

Ho 53 anni ed una grande passione per il calcio. Il calcio per me è davvero tutto. Anni in eccellenza e promozione, a livello amatoriale. Centrale difensivo alla Cannavaro, come amo definirmi. Una vita da capitano, dai 18 ai 38 anni. E poi ancora due stagioni in Prima Categoria, le ultime due, con il Formia e il Latina.
E poi un giorno all’improvviso, esattamente il 18 luglio del 2011, mentre ero in sella al mio scooter davanti al tribunale di Latina, un Suv mi taglia la strada. L’impatto è terrificante.
La mia gamba sinistra prende in pieno il paraurti del Suv e volo a terra. La scena è tosta: sto perdendo moltissimo sangue, la mia vita è appesa ad un filo. Tra la folla riesce a farsi largo una guardia giurata ex vigile del fuoco, capisce che deve intervenire, ogni secondo è prezioso, riesce a tamponarmi l’arteria femorale, e quindi mi permette di resistere fino all’arrivo dell’ambulanza. Nel momento in cui mi sveglio e riprendo coscienza, quel che resta dell’incidente è una fredda sintesi numerica. Sei giorni di coma e tredici sacche di sangue. Arteria femorale completamente andata, amputazione dell’arto inferiore sinistro e la consapevolezza di ritrovarsi in quella stanza d’ospedale solo perché un passante è riuscito a rallentare l’emorragia. Segni particolari, ancora vivo. Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
In quel letto di ospedale vivo un conflitto di sensazioni non indifferente. Una cosa però mi è chiara sin da subito. Non ero solo. C’era la mia famiglia lì con me e c’era la mia grande passione a farmi compagnia: il calcio.
I primi otto mesi sono stati duri, complessi e dolorosi. Ma ero lì. Avevo una gamba in meno, ma c’ero. E c’era la mia famiglia che si è comportata un po’ come una squadra di cui io ero il capitano, mio padre il terzino e mia madre il portiere. Sin dal mio risveglio sapevamo che non sarebbe stato facile, ma sapevamo che nulla ci avrebbe potuto fermare. Ho capito in quel momento stava iniziando il secondo tempo della mia vita. Ed è così che una carriera votata alla passione per il calcio, ma ormai avviata verso la conclusione conquisto una seconda opportunità. Da ragazzino sognavo di giocare un Mondiale, di ascoltare l’inno di Mameli con la mano sul cuore e di lottare per una maglia azzurra. Quell’opportunità arriva con la chiamata di Capitan Messori che aveva un progetto ambizioso: creare una Nazionale Italiana di Calcio amputati. Ed il sogno si avvera nel 2014, partecipo ai Mondiali di questa disciplina e corono il sogno di cantare l’inno di Mameli con la maglia azzurra. Nel 2017 Il CSI e Damiano Tommasi mi regalano un altro grande sogno: partecipare al corso allenatori Uefa B a Coverciano, esperienza bellissima, che mi ha permesso di conseguire il patentino e di poter allenare l’Asd Fabrizio Miccoli di calcio amputati.
Le nostre storie mandano un messaggio chiaro: ‘’mai mollare’’, trasformare un evento negativo in una opportunità. E poi c’è una palla che rotola da buttare in fondo ad una rete una volta in più dei tuoi avversari. E questa è la condizione necessaria e sufficiente per scordarsi tutte le precedenti regole e rendersi conto che nulla è andato distrutto in quell’incidente. Si è solo trasformato in qualcosa di diverso.
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